Tavolino
Lucio Fontana
Piano di Tavolino opera di Lucio Fontana
Tecnica Mista su vetro
Completo di tavolino Osvaldo Borsani
Realizzato da Fontana durante la collaborazione con “Arredamenti Borsani”
Pubblicato sul catalogo generale (allegata foto)
Epoca: 1952 – 53
Misure: diametro 74 cm – altezza 61 cm
Lucio Fontana, Rosario di Santa Fè (Argentina) 1899 – Comabbio (VA) 1968. Inizia la sua attività nel 1921 a Santa Fè nella bottega di scultura del padre Luigi. Si trasferisce a Milano e nel 1928 si iscrive al 1° corso dell’Accademia di Brera dove ha come docente Adolfo Wildt, che vi insegna scultura e figura. Ma già nei primi anni ‘30 abbandona il formalismo di Wildt per dedicarsi ai più audaci esperimenti d’avanguardia. Le prime avvisaglie di questo peculiare concettualismo si possono già individuare nelle sculture astratte degli anni ’30 e ’40, ottenute con fil di ferro e argilla, cemento bianco o bronzo dorato graffiti. Nel percorso verso l’astrazione più totale, Fontana attraversa diverse declinazioni scultoree che ancora appartengono alla figurazione, come Il Campione olimpionico (Atleta in attesa, 1932), il Fiocinatore (1933-34), la Signorina seduta (1934), tutte in gesso colorato, e Ritratto (1938), in mosaico. Partecipa regolarmente ad esposizioni collettive, realizzando parallelamente sculture decisamente commerciali, le ceramiche “barocche”, che realizza presso le fornaci di Albisola e Sèvres. Albisola, dove soggiorna regolarmente dal 1936, è un luogo ideale per la sua vita (la vicinanza del mare e quella del suo amico Tullio Mazzotti, ceramista futurista), e per il suo lavoro (disponibilità immediata dei forni per la realizzazione delle opere). Inizia con una serie di grandi opere in grès e terra refrattaria dalla consistenza ruvida e dai colori terrosi per poi lanciarsi nell’esecuzione di sculture policrome dai riflessi scintillanti. I soggetti paiono suggeriti dallo stesso ambiente di Albisola: fondali marini, figure femminili, nature morte e animali vari, ma anche guerrieri e battaglie. Alla Manifattura di Sèvres crea piccole sculture, che espone e vende con successo a Parigi. Sempre più apprezzato dai critici, partecipa alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma; espone più volte alla Galleria del Milione a Milano. Nel 1940 riparte per l’ Argentina, da dove ritorna alla fine della guerra dopo aver firmato nel 1946 il Manifesto blanco, in cui si afferma lo sviluppo di un’arte basata sull’unità del tempo e dello spazio. A Milano porta avanti i nuovi progetti già sviluppati in Argentina. Alla XXIV Biennale di Venezia espone la Scultura spaziale, già decisamente informale; nei disegni e nei modellati di quel periodo le figure si articolano nell’aria in una sfida continua all’immobilità, e il loro valore volumetrico è rafforzato dal segno, graffio, solco, buco, imposto dalla mano dell’artista. Pubblica il Primo Manifesto dello Spazialismo, con il quale propone il superamento della tradizionale distinzione tra pittura e scultura. Nel 1947 riprende l’attività di ceramista ad Albisola, dove realizza uno dei suoi capolavori, le formelle della Via Crucis, un’opera a tutto tondo, esemplificativa del suo periodo barocco, nella quale la materia sembra essere attraversata da una prorompente energia che la plasma, in un processo di continua metamorfosi. La ceramica, caratterizzata da un acceso cromatismo, prende così forma espandendosi in un spazio del tutto autonomo. Nell’arco del decennio successivo Fontana approfondirà questa ricerca, confrontandosi in altre due occasioni con il medesimo soggetto sacro. Collabora con gli architetti più all’avanguardia. Il 1948 vede l’uscita del Secondo Manifesto dello Spazialismo; nel 1949 espone alla Galleria del Naviglio “L’ambiente spaziale a luce nera” suscitando al tempo stesso grande entusiasmo e scalpore. Il 1949 è anche l’anno di svolta nella carriera dell’artista, quando, forse spinto dalla sua origine di scultore, alla ricerca della terza dimensione crea i Buchi, la prima serie di dipinti nei quali fora le tele, e il suo primo “ambiente spaziale”, un’insieme di sculture informi, dipinti fluorescenti e luci infrarosse da osservare in una stanza buia. Questo genere di lavori lo portano presto a utilizzare dei tubi al neon nella decorazione di soffitti. All’inizio degli anni ’50 partecipa alle esposizioni del movimento Art Informel, e per tutto il decennio sperimenta vari effetti: oltre a forare le tele vi applica colore, inchiostri, pastelli, collages, lustrini e frammenti di pasta di vetro (Le Pietre). Dal 1957, in una serie di opere in carta telata, oltre ai buchi ed ai graffiti, appaiono i primi “Tagli”. Nel 1961 espone a New York il ciclo degli oli ispirati a Venezia. Nel 1966 collabora con il teatro La Scala di Milano, disegnando scenografie e costumi. Negli ultimi anni della sua carriera artistica Fontana è sempre più interessato all’allestimento della sua opera nelle molte mostre a lui dedicate in tutto il mondo, così come all’idea di purezza raggiunta nelle sue ultime tele bianche segnate da un solo taglio verticale, con cui vince il primo premio per la pittura alla Biennale di Venezia. (mb49)
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